Maxi discarica nel capannone abbandonato a Rovato, il Tar condanna il Comune

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Se la società fallisce e sparisce, a chi spetta mettere mano ai danni ambientali provocati? Per il Tar di Brescia, al Comune. Nello specifico, a quello di Rovato, che si è visto condannare dai giudici amministrativi in relazione allo stabile industriale di via XXV Aprile, 95, la principale direttrice che attraversa da est a ovest la capitale della Franciacorta.

Cosa è successo

Nel dicembre 2020 il piazzale dello stabile, vuoto da anni, aveva visto l’arrivo di Arpa, Carabinieri Forestali e nucleo ambientale della Prefettura di Brescia. Grazie agli elicotteristi dei Carabinieri di Orio al Serio e ai satelliti del progetto Savager erano stati scovati, dall’alto, oltre 300 metri cubi di rifiuti, tra cisterne di oli e lubrificanti esausti in stato di degrado, rocchette con decine di metri di filati plastici, avanzi di tessuti, macchinari inservibili, barili di olio esausto e quintali di residui di abbattimenti e demolizioni.

Gli inquirenti avevano individuato, come responsabile dei fatti, l’azienda Trecoplast, che nel 2003 aveva preso in affitto i locali dalla proprietà, composta da tre sorelle (con la madre usufruttuaria) franciacortine. Già nel 2005 i primi problemi, con mancati pagamenti e la denuncia – da parte delle proprietarie – per il deposito incontrollato dei materiali. Tra promesse e ordinanze si arriva al 2011, con il fallimento della Trecoplast e i rifiuti sempre al loro posto. Dieci anni dopo, nel 2021, il Comune consegna alla proprietà un’ordinanza sindacale «per la rimozione e smaltimento dei rifiuti abbandonati», in base all’articolo 20 del Regolamento per il servizio di igiene urbana, che mette la cura degli spazi in capo a «conduttori, amministratori o proprietari e devono individuo conservate libere da materiali di scarto, anche se abbandonati da terzi». 

La decisione del Tribunale amministrativo

Di fronte a una spesa di circa 60mila euro, tra rimozione e sanzioni, la proprietà ha fatto ricorso al Tar che ora ha dato loro ragione, decretando l’illegittimità dell’articolo 20, da riformulare. Il Comune è stato galeotto a rifondere le spese, pari a circa 4mila euro. Secondo i giudici, infatti, deve stare fondante il principio di matrice eurounitaria in materia ambientale per cui «chi inquina paga». Il Comune ha già annunciato ricorso. 

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